Vladimiro

Finito cena, come spesso m’accade, mi stravacco sulla sedia comunque soddisfatto concedendo un tempo ics al pasto affinché defluisca nella serie di organi del mio corpo. Questo periodo non è legato al completamento del percorso né all’illusione che la mia postura serva a qualcosa ma varia a seconda di impegni, spessore di ragionamenti che nascono in mente, elucubrazioni, fantasticherie, eccetera. Ho notato che la stessa cosa succede quando mi siedo sulla tazza del wc: l’iter seguito dal mio cervello è identico, quello del mio corpo no… e per motivi che non serve rammentare adesso. Ad ogni modo, assorto in pensieri voluminosi, vengo distolto dal suono del campanello e il primo pensiero è un “chi cazz…arola sarà?!”

Tra me e il citofono c’è praticamente la distanza di un braccio (non so se ho già detto che abito in un anfratto): prendo la cornetta e pronuncio un simpatico “chi va là” ma non perviene alcuna risposta. Allora mi alzo sbuffando e vado alla finestra della camera che dà sulla strada, mi affaccio, guardo a destra e a manca ma non scorgo anima viva. Richiudo pensando ai soliti guasconi che sovraeccitati scendono da Città Alta, oppure a miei colleghi abitanti nei pressi che, a fine turno, mi mandano così un implicito saluto: praticamente una goliardata come potrebbe essere una strizzata di palle tra amici.

Nel momento che mi risiedo con già in mente pensieri plurimi odo bussare alla porta di casa, al che parte un porco di…quel diavolo, una sobria imprecazione dato che, chiunque sia, sta attentando alla mia intimità nonché pazienza. Mi rialzo ed apro la porta senza guardare preventivamente nello spioncino: non appena vedo il tizio con sguardo torvo ritto sulla mia soglia mi si gela il sangue e mi sfugge anche un leggero “soffietto” nei pantaloni.

“Posso…?” mi chiede l’uomo vestito con un cappotto nero.

“Non è una domanda” penso preoccupato, soprattutto perché il personaggio ha una mano infilata fra i due bottoni del tabarro mentre l’altra sostiene una scura valigetta in pelle.

Io non rispondo, anche perché rischierei di parlare in falsetto: mi faccio da parte e lui entra, si guarda intorno mentre con sufficienza si slaccia il cappotto mostrando che sotto indossi abito e cravatta neri con camicia bianca.

“Uno delle iene” penso io in modo quasi irriverente.

Lui mi guarda ed ho la netta sensazione m’abbia letto nel pensiero. Nonostante questa considerazione ho la prontezza di indicare l’attaccapanni ma l’uomo, con cenno della mano e una smorfia eloquente, declina. Si siede, mi “prega” di far lo stesso chiedendomi se sapessi chi fosse: il suo italiano è perfetto ma l’accento è marcatamente dell’est.

“Daniel Craig?” abbozzo io notando una certa somiglianza.

Lui fa un breve ghigno divertito poi torna serio.

“Le chiedo” mi dice dopo essersi schiarito la voce “se è a conoscenza del fatto che nella vostra nazione ci siano missili termonucleari.”

“Ma non diciamo cazzate!” rispondo io in tono saccente, poi però mi ridimensiono all’istante data la sua espressione tutt’altro che gradevole.

L’uomo sbuffa dalle narici e scuote la testa.

“Almeno sa cos’è una bomba ZAR?” mi domanda aggrottando la fronte.

“Un petardo tipo quella di Maradona?” ipotizzo io riflettendoci abbastanza seriamente.

Sta per darmi dell’imbecille quando dalla porta entra un energumeno con occhiali scuri, nonostante sia sera, dicendogli quattro parole incomprensibili nemmeno fossero cirillico. L’unica cosa che riesco a intuire è un nome: Vladimir. Al che riporto lo sguardo al tizio seduto di fronte a me che mi fissa con un’espressione che non preannuncia niente di buono. In quel momento intravedo una pistola spuntare dal cappotto: voglio deglutire ma non ci riesco.

“Sono spiacente ma il tempo è terminato.” mi dice con una calma spaventosa, al che avverto dell’umidità nelle mutande “Purtroppo devo scappare.” aggiunge “Le lascio questa valigetta: data la sua condizione vi troverà tutto l’occorrente. Ne faccia buon uso, mi raccomando.”

Io annuisco nervosamente ed esalo un sospiro seghettato per lo scampato pericolo: pensavo mi avrebbe ucciso per non lasciare testimoni in perfetto stile KGB.

Detto questo lui si alza e anch’io, per timore, non tanto per educazione: L’uomo rimette a posto la sedia, si riallaccia il tabarro, esce da casa e mentre sta per chiudere mi consiglia di stare attento, di non aprir più agli sconosciuti, dopodiché mi schiaccia l’occhio e serra la porta. In quel frangente avverto che il mio corpo è in una condizione marmorea: l’unica cosa consentitami è origliare. Sto in completo silenzio, nemmeno respiro ma non si sente niente, neanche il calpestio dei passi a salire o scendere, oppure un fruscìo: nulla, nessun rumore.

Esco dallo stato pietrificato ma non mi azzardo assolutamente a sbirciare dalla porta, tantomeno dallo spioncino. Mi controllo il “pacco” e sento proprio dell’umido schernendomi, dandomi del pisciasotto. La mia attenzione ora cade sulla valigetta; la prendo da terra, la poggio sul tavolo, la osservo, la tocco, la annuso: è proprio in pelle pregiata. Finalmente riesco a deglutire. Poi penso che, magari, all’interno ci sia dell’esplosivo collegato all’apertura come nei migliori libri di spionaggio. Esito ma… cazzarola, sono curioso. Sbuffo pesantemente poi, cauto, porto le mani ai due ganci, sblocco e il doppio clack mi fa sobbalzare. Tiro un lunghissimo respiro per farmi forza, apro e… dentro vi trovo la perfetta riproduzione di un grosso fallo di gomma, al che mi tornano in mente le parole dell’uomo:

“Ne faccia buon uso”

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